La Cassazione (Sentenza 6787/2013) è tornata nuovamente sulla questione dello “jus variandi” del datore di lavoro con riferimento, in questo caso, all’applicabilità del diritto ai lavoratori assunti a termine. Afferma la Corte che il lavoratore assunto a tempo determinato non può pretendere la conversione del contratto a tempo indeterminato nei casi in cui il suo impiego sia stato variato dal datore di lavoro, rispetto a quello per il quale era stato assunto, al fine di sostituire temporaneamente un lavoratore con diritto alla conservazione del posto.
Infatti “il lavoratore assunto a termine ai sensi dell’art. 1, secondo comma, lett., b della legge n. 230 del 1962, per la sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, non deve essere necessariamente destinato alle medesime mansioni e/o allo stesso posto del lavoratore assente, atteso che la sostituzione ipotizzata dalla norma va intesa nel senso più confacente alle esigenze dell’impresa; pertanto, non può essere disconosciuta all’imprenditore – nell’esercizio del potere autorganizzatorio – la facoltà di disporre (in conseguenza dell’assenza di un dipendente) l’utilizzazione del personale, incluso il lavoratore a termine, mediante i più opportuni spostamenti interni, con conseguente realizzazione di un insieme di sostituzioni successive per scorrimento a catena, sempre che vi sia una correlazione tra assenza ed assunzione a termine, nel senso che la seconda deve essere realmente determinata dalla necessità creatasi nell’azienda per effetto della prima”.
Tale orientamento interpretativo “vale anche a disciplinare le fattispecie relative a contratti a termine per ragioni sostitutive ricadenti nel regime di cui alla legge n. 56 del 1987”,
Per quanto concerne la necessità di un nesso causale tra l’attività del lavoratore assunto in sostituzione e quella del lavoratore sostituito, “onde potere affermare che l’assunzione sia comunque riconducibile, eventualmente attraverso più passaggi, alla sostituzione di un lavoratore assente, impedito a svolgere la prestazione, deve rilevarsi che la valutazione della sussistenza di questo rapporto di correlazione causale costituisce giudizio di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità, quando la relativa motivazione sussista, sia sufficiente e non sia contraddittoria […] Nella stessa logica ed entro gli stessi limiti deve ritenersi che in caso di assunzione a termine di un lavoratore in sostituzione di un altro assente, per il periodo dell’assenza, il datore potrà esercitare nei confronti del lavoratore a termine quel medesimo jus varìandi che avrebbe potuto esercitare nei confronti del lavoratore sostituito”.