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Esternalizzo, ti licenzio e rido (o al massimo pago, poco….)

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La decisione di delegare ad una struttura esterna all’azienda l’assolvimento di determinate mansioni, fino ad allora svolte da un lavoratore dipendente, può legittimare il licenziamento di quest’ultimocassazione

a patto, ovviamente,  che si possa dimostrare la mancata possibilità di ripescaggio del dipendente stesso.

Con la sentenza n. 6346 del 13 marzo 2013 la Cassazione afferma un principio molto interessante, ma anche molto pericoloso.

La sentenza riguarda la vicenda di un’azienda  di ricerca farmaceutica, impegnata anche nella produzione e vendita dei medicinali, che aveva deciso di esternalizzare il servizio di infermeria (teso a verificare la salute fisica del personale, sia nelle fasi antecedenti all’assunzione di nuovo personale sia durante le visite di controllo del personale dipendente già in forza) affidando ad una ditta terza tale servizio.

Un’infermiera, regolarmente assunta e dipendente dell’azienda, era stata quindi licenziata. Ma, impugnato il licenziamento, sia la Corte d’Appello che la Cassazione hanno ritenuto legittimo l’operato dell’azienda.

I Giudici d’Appello hanno trovato nelle motivazioni  inerenti la produttività aziendale e la gestione organizzativa del lavoro stesso la legittimazione del licenziamento della dipendente.

Per quanto riguarda la possibilità di repechàge (non proposto dall’azienda) la Corte Suprema ha fatto notare come la lavoratrice non avesse mai provveduto a comunicare le eventuali mansioni alternative che avrebbe potuto svolgere in azienda e la differente posizione che avrebbe potuto occupare.

La Cassazione ha anche evidenziato l’assoluta estraneità dell’attività infermieristica all’oggetto proprio della società farmaceutica, ritenendo anche per questo fatto, concepibile (e quindi legittima) la soppressione del posto di lavoro.

Ma bisogna considerare un fatto: l’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, post riforma Fornero, prevede, per l’ipotesi di un lincenziamento illegittimamente intimato per ragioni oggettive (quali la soppressione del posto, come nel caso trattato dalla sentenza) il solo pagamento di un’indennità omnicomprensiva da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità.

Questo con la sola eccezione dell’ipotesi di un licenziamento operato in aperta malafede, nel quale il motivo oggettivo proprio non esista.

In tutti le altre ipotesi, poichè sappiamo che l’imprenditore è libero di organizzare l’azienda come meglio crede senza che il Giudice possa sindacarne il merito, il licenziamento è quindi possibile con tanto di sconto.

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