A chiarirlo è la Cassazione, la quale affronta il tema relativo alla completezza della comunicazione ex articolo 4, comma 9, della legga 223/91, con cui l’impresa, al termine della procedura di licenziamento collettivo, trasmette agli organismi competenti i nominativi dei lavoratori licenziati fornendo altresì «puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta» di cui all’articolo 5 della medesima legge. La vicenda trae spunto dall’impugnazione di un licenziamento intimato sulla base della concorrente applicazione dei tre criteri di scelta previsti dalla legge, ossia i carichi di famiglia (cui, nella specie, veniva attribuito un peso ponderale del 30%), l’anzianità di servizio (con peso del 20%) e le esigenze tecnico-produttive «per un peso ponderale pari al 25% per il livello posseduto e pari all’ulteriore 25% per la professionalità».
La «professionalità» veniva a sua volta valutata mediante l’applicazione di cinque sotto-criteri (la competenza rispetto al livello, l’autonomia operativa e decisionale rispetto al livello, le capacità relazionali e di lavoro in team, la capacità di rispetto delle tempistiche assegnate e la padronanza della lingua inglese). Nella comunicazione di fine procedura, tuttavia, il datore di lavoro ometteva di indicare le concrete modalità con cui si era attribuito, per ciascun lavoratore, il complessivo punteggio relativo alla professionalità.
Tale «carenza di trasparenza delle scelte datoriali», afferma la Cassazione, si traduce in un vulnus al pieno esercizio della funzione sindacale di controllo e valutazione, e comporta quindi l’illegittimità del licenziamento. Ciò in quanto la mancanza di una puntuale indicazione «non tanto dei criteri di scelta (che erano quelli legali), quanto piuttosto delle modalità con cui sono stati concretamente fatti interagire i suddetti criteri» impedisce ai destinatari della comunicazione di esercitare le proprie prerogative di valutazione e controllo sulla scelta dei lavoratori da licenziare. Nel licenziamento collettivo, infatti, l’effettiva garanzia per il lavoratore licenziato si colloca sul piano procedimentale: il datore di lavoro comunica il criterio di selezione adottato «con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta» e il lavoratore può contestare che la scelta sia stata fatta in «puntuale» applicazione di tale criterio. Ma – prosegue la Corte – se il datore di lavoro non comunica alcun criterio ovvero ne comunica uno decisamente vago, il lavoratore è privato della tutela assicuratagli dalla legge, «perché la scelta in concreto effettuata dal datore di lavoro non è raffrontabile con alcun criterio oggettivamente predeterminato. Si finirebbe in realtà per predicare l’assoluta discrezionalità del datore di lavoro nell’individuazione dei lavoratori da licenziare; e tale non è certo l’impianto della legge 223 del 1991, articoli 4 e 5» (Cassazione numeri 27165/09 e 16588/04). Quanto al regime sanzionatorio, incidentalmente la Cassazione conferma il proprio orientamento nel ritenere che l’incompletezza della comunicazione in parola integra una violazione della procedura che dà luogo alla tutela indennitaria prevista dal terzo periodo del settimo comma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (ossia «indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti»)(Cassazione numeri 19320/16 e 12095/16). (Corte di Cassazione – sezione Lavoro – sentenza n. 25554 del 13 dicembre 2016)