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Risarcimento del danno per illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro.

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Ai fini della determinazione del risarcimento del danno, nel pubblico impiego, l’ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato comporta la condanna del datore di lavoro al pagamento di una somma onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Così si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 4275/17 depositata il 17 febbraio.
Il caso. La lavoratrice adiva il Tribunale per chiedere la nullità dei termini apposti ai contratti stipulati con il CEFPAS (centro per la formazione permanente e l’aggiornamento del personale del servizio sanitario) e la conversione del rapporto di lavoro, contestualmente al pagamento da parte del datore di lavoro delle retribuzioni maturate a far data dall’illegittimo licenziamento.
Il Giudice d’appello, confermando la sentenza del Tribunale, dichiarava l’illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti stipulati e condannava il datore di lavoro al pagamento dell’indennità in favore dalla lavoratrice. Il CEFPAS ricorre in Cassazione censurando la statuizione della Corte territoriale nella parte in cui qualificava erroneamente il danno sulla scorta del disposto dell’art. 18 l. n. 300/1970 anziché di quello di cui all’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010.
L’illegittima apposizione del termine. I Giudici di legittimità richiamano quanto affermato dalle SS.UU. nella sentenza n. 5072/16 laddove hanno ritenuto che, ai fini della determinazione del risarcimento del danno, la fattispecie rilevante è quella prevista all’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010 ossia l’ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto a tempo determinato. In tale ipotesi è prevista la condanna del datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo dell’art. 8 l. n. 604/1966. In riferimento alla richiesta di risarcimento per mancato conversione del rapporto di lavoro, la S.C. afferma poi che «il richiamo alla disciplina del licenziamento illegittimo, sia quella dell’art. 8 l. n. 604/1966 che dell’art. 18 l. n. 300/1970, è incongruo poiché per il dipendente pubblico a termine non c’è la perdita di un posto di lavoro». Qui non opera dunque il risarcimento del danno a seguito della mancata conversione del rapporto di lavoro come per il settore privato. Pertanto dovendosi applicare la fattispecie prevista dall’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, il risarcimento del danno riguarda solamente il caso di illegittima apposizione del termine. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello in diversa composizione. (Corte di Cassazione – sezione Lavoro – sentenza n. 4275 del 17 febbraio 2017)

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