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La giusta causa del licenziamento va determinata in concreto

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La valutazione della giusta causa del licenziamento impone una valutazione parametrata a clausole generali di contenuto elastico ed indeterminato che richiedono, nel momento dell’applicazione giudiziale, di essere integrate e colmate grazie all’intervento dell’interprete mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale, dal costume, dall’ordinamento giuridico o ancora dalle regole di specifici ambiti sociali o professionali. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6297/17 depositata il 10 marzo.
Il caso. Alla sentenza con cui il Tribunale di Milano dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore per l’assenza di giusta causa, seguiva un secondo licenziamento per superamento del periodo di comporto. La Corte d’appello adita dalla società confermava la prima decisione del Tribunale e rigettava la domanda del lavoratore relativa all’illegittimità del secondo licenziamento. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il lavoratore. Il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1175e 1375 c.c. in quanto nella valutazione del comportamento della controparte nel secondo licenziamento il giudice non avrebbe tenuto in considerazione i principi di correttezza e buona fede nel rapporto contrattuale di lavoro.
Obblighi di correttezza e buona fede. La Corte di Cassazione accoglie la censura sottolineando che la giusta causa del licenziamento è una nozione che si colloca in una posizione caratterizzata dalla presenza di elementi normativi e clausole generali di contenuto elastico ed indeterminato che richiedono, nel momento dell’applicazione giudiziale, di essere integrate e colmate «sia sul piano della quaestio facti che della quaestio iuris», grazie all’intervento dell’interprete mediante valutazioni e giudizi di valore desumibili dalla coscienza sociale, dal costume, dall’ordinamento giuridico o ancora dalle regole di specifici ambiti sociali o professionali, in modo da individuare la soluzione più conforme al diritto, «oltre che più ragionevole e consona». Si tratta di specificazioni del parametro normativo dotate di natura giuridica, la cui disapplicazione può dunque essere dedotta in sede di legittimità come violazione di legge. Da tali premesse, discende che le censure del ricorrente sono fondate in quanto la Corte meneghina non ha dato adeguata rilevanza al fatto che il datore di lavoro, prendendo in considerazione la certificazione medica presentata dal lavoratore solo dopo la notifica del ricorso con cui era stato impugnato il licenziamento, era venuto meno al dovere di osservanza degli obblighi di correttezza e buona fede. Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano (Corte di Cassazione – sezione Lavoro – sentenza n. 6297 del 10 marzo 2017)

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