Legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuti di intervenire in caso di emergenza. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 7166/2017. In particolare la Corte ha puntualizzato come debba essere censurato con la sanzione più dura il comportamento del tecnico che, nella veste di responsabile d’emergenza e con la reperibilità, si rifiuti di intervenire in piena notte a fronte di un calo pressorio del gas con successiva e pericolosa perdita.
I giudici di merito – Nel giudizio di merito la vicenda aveva avuto un esito ben differente. Il lavoratore era stato reintegrato sul posto in quanto l’articolo 55 del Ccnl settore Energia e Petrolio sanzionava quel tipo di omissione con una sanzione conservativa e non espulsiva. In particolare i giudici di secondo grado hanno evidenziato che la condotta addebitata al lavoratore non configurasse grave infrazione alla diligenza nel lavoro e grave nocumento morale (passibile di licenziamento secondo contratto collettivo) ma soltanto un contegno tale da arrecare pregiudizio alla sicurezza di persone e impianti (passibile di sanzione meramente conservativa). Contro la sentenza ha presentato ricorso la società. E la Cassazione – sfiorando il giudizio di merito – ha precisato che il giudice ha il dovere di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari dell’articolo 2106 cce rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, ex articolo 2106 cc, solo a eventuali sanzioni conservative. Eseguita tale verifica che consente di escludere la nullità delle clausole del contratto collettivo in tema di comportamenti passibili di licenziamento e permetta comunque di ritenere che l’infrazione disciplinare sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo di recesso, il giudice deve apprezzare in concreto la gravità degli addebiti. Al giudice quindi è consentito superare quanto eccepito dalla parte datoriale e dal lavoratore per poter prendere una decisione che di fatto sia più corretta giuridicamente.
La gravità dell’infrazione – Si legge nella sentenza che in materia disciplinare va sempre in concreto esaminata la gravità dell’infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e sotto quello della futura affidabilità del dipendente circa la prestazione dedotta in contratto. La sentenza impugnata ha ricondotto l’infrazione disciplinare «per cui è causa all’ipotesi prevista dall’articolo 55 del Ccnl del comparto in questione che punisce con sanzione più grave di quella massima conservativa (vale a dire con il licenziamento) la recidiva in atti che portino pregiudizio alla produzione, alla disciplina, alla morale, all’igiene e alla sicurezza delle persone e degli impianti». Ma la sentenza secondo i Supremi giudici (e qui si potrebbe ravvisare un’ingerenza nel merito) ha tralasciato di esaminare quella parte della stessa clausola contrattuale che prevede, in alternativa alla recidiva, anche il caso di particolare gravità come passibile di sanzione espulsiva. In definitiva la Corte d’appello di Salerno dovrà apprezzare in concreto la gravità del comportamento del lavoratore in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del suo operato e alla futura affidabilità del dipendente nell’eseguire la prestazione dedotta in contratto.(Corte di Cassazione – sezione Lavoro – sentenza n. 7166 del 21 marzo 2017)